Episodio 9 – La Svezia è la Finlandia?
Primo episodio del 2012 del podcast che amaviodiare (cit. Luigi)
In questo episodio abbiamo come ospite, direttamente da Ringcast, Parliamo di Videogiochi, e Players: il Caro Leader Kim Jong, Gatzu!
A sto’ giro mi gioco Blade Runner della Westwood Studios e Gemini Rue, poi si parla della storia videoludica di Catzu, dei suoi traumi e del suo amore per la fantaSienza rispetto al fantasy.
Blade Runner:
Gemini Rue:
In seguito passiamo alla famigerata posta dei lettori, a questo giro ci becchiamo critiche, rispondiamo con le pernacchie e con insulti, poi riceviamo dei complimenti, e rispondiamo nuovamente con altre pernacchie, il tutto con la massima ironìa!
E poi chiacchere varie ed eventuali sull’alpha e l’omega.
Sound Blaster #1: Lou Reed “My Red Joystick”
SOUND BLASTER!
Lou Reed “My Red Joystick”, 1984
Salve a tutti e a tutte. Con questo post inauguriamo la rubrica “Sound Blaster!” che si occuperà di segnalare alla vostra graziosa attenzione brani musicali, di artisti famosi o meno, che hanno a che fare in qualche modo con l’effervescente e colorato mondo dei videogiochi, soprattutto del passato. E non è una scelta casuale quella di iniziare con un brano di un artista come Lou Reed.
”My Red Joytick”, infatti, è ben più di un brano che racconta una storia di autoemarginazione, è anche un inno per tutti quelli che videogiocano come fosse un vizio inconfessabile (come, in effetti, è) giustamente esecrato dalla società. Il cantautore newyorkese sin dagli esordi nei Velvet Underground è stato il cantore dei miserabili, degli autodistruttivi dissoluti, dei fiori del male perversi e masochisti. Quindi era solo questione di tempo, prima che l’attenzione dell’aedo degli uomini da marciapiede e dell’oscurità metropolitana si concentrasse su questa nuova specie di sfigati allucinati. Siamo nel 1984, nelle case furoreggiano l’Atari 2600 e il Commodore 64, nelle sale giochi trionfano Paperboy, Dragon’s Lair e tutti i classici come Donkey Kong e Ms.PacMan. Lou Reed immagina quindi una scena di depressione e autocommiserazione, come al solito, e ci immerge nei pensieri di un tizio che fa delle amare considerazioni sul suo rapporto con la moglie/compagna che probabilmente lo sta lasciando portandosi via tutto.
Il brano parte prendendola un po’ alla larga, parlando di Eva e della mela e blablabla, per poi arrivare al momento di rivendicazione: prediti i tuoi abiti, prenditi i tuoi gioielli, prenditi la televisione, prenditi quel sapone che mi stomaca, ma lasciami il mio Piccolo Joystick Rosso! E via così, alternando altri paragoni tra la moglie/compagna ed Eva e dichiarazioni decise e risolute che lei può portarsi via pure la Porsche, i bambini, i tappeti, le rose, ma deve lasciargli il Suo Piccolo Joystick Rosso!
Il finale della storia lo racconta la copertina dell’album: Infine lei se ne va, lasciandogli la casa svuotata e questo cavolo di Piccolo Joystick Rosso (che dovrebbe essere un Wico Command Control leggermente modificato). E lui è felice, perché sullo schermo (che forse nemmeno esiste perché si è portata via tutto, pure le rubinetterie e le foto delle vacanze) c’è lui stesso, finalmente protagonista di un videogioco. Lou Reed, come nei suoi episodi migliori, non giudica e lascia parlare i suoi protagonisti. E inserisce anche questo personaggio alla sua collezione di depravati e perdenti. Siatene orgogliosi, o giocatori, anche se ormai i joystick sono stati sostituiti dai meno virili Joypad e in alcuni tristi casi, persino da cosi simili a telecomandi.(Cosa che mi ha fatto venire in mente l’indimenticabile brano di Renzo Arbore “La vita è tutto un quiz” con i sui struggenti versi: Il padre al figlio dice/senti un po’/solo un consiglio è quello che ti do/tu nella vita comandi fino a quando/ci hai stretto in mano il tuo telecomando.)
P.S.: Nello stesso album “New Sensation” c’è un altro brano in tema, “Down in the Arcade” dove sono citati Defender e Robotron. Così, tanto per gradire.
Retrocast – Bonus Stage – Requiem for a coin-op
Nell’attesa che il sottoscritto monti e pubblichi il nuovo episodio, beccatevi uno spaccato estemporaneo, molto amarcord, con l’analisi poco lucida riguardo alla morte dei “cabinati da bar”.
Il tutto vede protagonisti Stefano e il buon Vittorio.
La qualità video è pessima, la qualità audio è pessima, ma ci siamo noi che siamo bellissimi, come sempre!
Se trovate degli errori sappiate che sono tutte precise scelte artistiche!
Someone set up us the bomb!
Il buon Luigi Marrone mi porta a conoscenza del fatto che qualcuno ha estrapolato dall’episodio in cui è stato protagonista, (prima di diventare uno dei nostri <3), il suo “Elogio del Retrogaming”; con tanto di montaggio ecc ecc!
Per chi se lo fosse perso, lo ripubblichiamo volentieri!
Grazie misterioso amico/a!
Mangià (featuring Sergio the Italian Dog and Frankie The Italian Cat)
E’ il 1983, in quell’anno vince il festival di San Remo “L’Italiano” di Toto Cutugno.
Probabilmente la migliore colonna sonora per il gioco che, nello stesso anno, la Spectravideo fece uscire per l’Atari 2600. “Mangià”.Come in quel brano, infatti, la malinconia, l’ironia e una sottile inquietudine permeano anche il gioco in questione.
Una volta fatto partire, un’italica tarantella ci mette già a nostro agio, introducendoci ad una scena di vita italiana. Interno giorno: una tipica cucina italiana, con un modesto lampadario, delle pretenziose tende blu oltremare alla finestra, il quadro appeso con il ritratto di povero nonno. Al centro, un tavolo e una sedia, su cui è assiso il ragazzo italiano.
La scena comincia con la Mamma che serve in tavola un piatto di spaghetti. Poi torna al lato destro dello schermo dove, probabilmente, ci sono i fornelli. Dopo poco, torna con un altro piatto, anzi due. Poi ne porta altri. E poi altri.
Il ragazzo osserva tutto ciò con un certo malcelato nervosismo, tradito dall’agitare continuo delle sue gambe, che penzolano da una sedia drammaticamente grande. Lui evidentemente già sa quello che sta succedendo e quello che deve fare per cercare di scamparla. Deve mangiare gli spaghetti, ovvio, ma senza esagerare (noi sappiamo che dopo una ventina di portate schiopperebbe come in un film dei Monthy Pyton) e senza far accumulare i piatti sulla tavola, che altrimenti rischia di crollare facendogli perdere anche in questo caso una vita. Per fortuna ci sono Sergio the Italian Dog e Frankie the Italian Cat, i cuccioli di casa. Evidentemente ghiotti di pasta, i due si aggirano per la cucina o si affacciano alla finestra, aspettando fugaci razioni di pastasciutta. Il ragazzo quindi (e noi con lui) si destreggia tra il sorridere soddisfatto a mammà e il lanciare i piatti alle bestie. Ma senza farsi scoprire, perché altrimenti sono penalità. E le penalità sono altra pasta, e altra ancora.
Mangià è un gioco a ondate; ogni stage termina quando finiscono i piatti e al salire del livello corrisponde un aumento delle portate e della velocità con cui sono servite.Ma soprattutto, Mangià è il gioco di un ragazzo italiano che lotta, che insiste a lottare, anche se sa che ogni pranzo e ogni cena saranno così. Sarebbe facile lasciarsi andare, mangiare fino a deflagrare e poi sperare nei servizi sociali e nell’adozione. No, lui lotta e resiste. Per amore verso la mamma che freneticamente, istericamente, lo intoppa di pastasciutta calda e fumante, colante sugo fresco (mica quello nelle bottigliette di oggi, mica un sugo pronto). Lui percepisce, come noi, un dramma nel dramma, la fragilità che quegli occhi vacui lasciano intravedere. Questa mamma italiana inizio anni 80 pensa che è poco, pensa che non è mai abbastanza. Oppure c’è dell’odio in tutto questo, una vendetta indiretta verso la situazione in cui si trova ora, uno sfogo? Quali pensieri la tormentano in quel tracciato tra il tavolo e i fornelli, quali sogni si sono impantanati lì? Cosa ribolle, insomma, cosa si è scotto?
Mangia bello di mamma, che sei sciupato!